La storia attraversa il buio del potere, dei divieti, dei permessi, dei silenzi. La crisi sanitaria incombe presentandosi con tutti gli aspetti di una rivoluzione che fa girare il mondo al contrario. L’infinito tempo dell’impotenza pervade gli uomini in balia dei propri bisogni, paurosi del futuro e di ogni altrui domanda. Il problema più arduo, affrontato tra le vie della città, sembra essere il sottofondo speculativo di un’economia stagnante che costituisce una minaccia per l’occupazione. L’autorità politica, ben documentata e legata ad una gerarchia di valori, suggerisce semplici misure di prudenza, nella tutela e nella cura collettiva. Intanto lo spettro dell’esaurimento dei cittadini che si era profilato all’orizzonte, avanza rapidamente in un quadro attuale della società che non concilia risposte scientifiche da un lato, ed esigenze sociali dall’altro. La comunicazione incompleta e talora incerta giunge a conclusioni algoritmiche in forma chiusa. Il mondo che finora avevamo concepito come unitario, svela le parti contrapposte, in un duello che annulla l’identità di una vita collettiva ancestrale. Come monadi dalle finestre chiuse, reciprocamente condizionate, gli uomini, imprigionati nello spazio, impauriti dal contatto, bloccano definitivamente l’esodo, dirigendosi verso un futuro mutilato.
Ma esiste veramente questo pericolo, nella forma e nella misura in cui viene prospettato? É possibile mettere in corrispondenza una massa imponente di nozioni scientifiche ristrette a un dominio culturale/politico che impiega certi tipi di regole per giustificare e convalidare quote giornaliere di libertà? La vicenda di inevitabile contaminazione, aggiunge qualcosa di schizofrenico alla società, in cui l’individuo tormentato dalla dicotomia dell’attuazione pratica di modelli e teorie, difficilmente si sente al sicuro. In un tema pandemico, continuamente alimentato dalle meraviglie che emergono dai laboratori, i danni provocati dall’industria della solitudine sono come Ulisse ed Enea, miti, non dimenticati, ma lontani dagli occhi di tutti. I dati raccolti che arrivano dallo studio sociale UCL Covid-19[2] non possono essere considerati come un qualsiasi prodotto, ma come un fatto essenziale che debba promuovere enti e organizzazioni a carattere umanitario in analogia con la sanità già esistente. Incapace di aggrapparsi ad una società con una rete di rapporti umani a maglie troppo larghe, promossa dall’utilizzo delle nuove tecnologie i cui vantaggi non possono sostituire il benessere scaturito da un abbraccio, il grido dell’umanità ferita sovrasta il ruolo sociale dell’arte e dell’immaginazione, favorendo l’uso esclusivo dell’informazione mediatica. E lì, nell’angustio spazio dove l’uomo consuma il tempo della sua vita, scompare il senso della relazione e si misura con la sua finitezza. La solitudine dell’uomo diventa un tratto distintivo di questa pandemia e, ovviamente, incide anche sulla salute mentale; infatti può aumentare i sintomi della depressione, può portare a trascurare la propria salute e ad alterare la propria percezione circa la qualità della vita.
Sebbene io non desideri minimizzare le conseguenze del COVD-19, quando continuano ad essere in gioco vite umane, è importante non sottovalutare le altre condizioni di sofferenza i cui effetti a lungo termine sono ancora da indagare. La storia, in una celebre formulazione di Vico, è un ciclo di corsi e ricorsi che si susseguono ciclicamente, in cui allo sviluppo razionale dell’ultima età subentrano, per degenerazione, germi di corruzione e crisi che fanno crollare le istituzioni sociopolitiche, fino alla tirannide e all’anarchia.
Insomma, che valore può avere il dubbio supremo dell’intellettuale “Aufgeben oder kämpfen?”[3] Frugare nella storia, richiamare esperienze del passato ci aiuta a non dimenticare coloro che hanno sostituito alla paura e al rischio, il valore della libertà come rapporto non solo con il presente, ma anche con sé stessi. Quale futuro si prospetta in un mercato del lavoro così radicalmente in cambiamento? Ci ritroveremo a vivere una realtà catalettica dove la rassegnazione, la sfiducia ed il qualunquismo ci permetteranno sempre di accusare “gli altri” dei nostri guai? Squarciare le trame della retorica consentirà di far progredire l’immagine della scienza presso il grande pubblico per un analisi accurata del fenomeno?
A voi i commenti.
Giulia Giordano
[1] Caspar David Friedrich, L’ albero solitario, dipinto del 1822 conservato allo Staatliche Museen a Berlino
[2] UCL Covid-19 é uno studio di ricerca sociale condotto e gestito dal “University College London”
[3] tradotto in italiano come: “rinunciare o combattere”