“La pandemia ci ha cambiati. I coreani già parlano di corona blue, una depressione, più che ansia, legata alla permanenza forzata tra le mura domestiche. Prima la società moderna era una società affaticata da un imperativo di prestazione, da un’isteria di lavoro e iperproduzione”, dice lo psichiatra Piero Cipriano. “Eravamo convinti che la medicina fosse magnifica e progressiva, religione del nostro tempo, quando all’improvviso ci ha mostrato la sua debolezza. Ora siamo corpi. Corpi confinati in casa. Eravamo i padroni della terra, ora siamo tornati a essere abitanti impauriti nelle caverne”.[1]
“Eravamo i padroni della terra… ora siamo tornati ad essere abitanti impauriti delle caverne… ora siamo corpi, corpi confinati in casa..”. Chi di noi, nel corso di questa pandemia, non ha provato almeno una volta la sensazione che ci descrive lo Psichiatra Piero Cipriano? Ci troviamo legati, costretti a rinunciare a ciò che fino a poco tempo fa era per ciascuno di noi la normalità, l’abitudine: uscire, vedere gente, viaggiare, soddisfare passioni e desideri, prenderci cura dei nostri bisogni sociali. Oggi tutto sembra impossibile, tanto da far dire a Cipriano che ci siamo ridotti ad essere corpi confinati in casa, abitanti impauriti delle caverne, come a dire che la nostra esistenza ha perso il proprio valore, privata della fisicità sociale e della libertà di movimento.
Ma è davvero così? Lo scoprirci vulnerabili, limitati, caduchi ci porta a questa amara rassegnazione? Siamo solo corpi rinchiusi nel buio delle nostre caverne?
Non si può negare, la pandemia di Covid-19 sta sgretolando tutte le nostre certezze: eravamo follemente lanciati nella corsa al progresso a tutti i costi, quasi ritenendoci immortali, capaci di sempre nuove scoperte che ci permettessero di allontanare e ritardare la morte, di vivere oltre la dimensione spazio-tempo, addirittura vicini a gestire arbitrariamente tale dimensione. Il Covid-19 ha bruscamente interrotto questa corsa, facendoci tornare alla condizione fragile di esseri umani, limitati, vulnerabili, incapaci di prevedere cosa ne sarà di noi e di vivere sereni e felici, sicuri del nostro futuro.
Questa seconda ondata che stiamo vivendo è anche, forse, peggiore della prima, e non soltanto per i dati che ogni giorno ci fanno constatare la gravità della situazione e l’impreparazione del nostro sistema sanitario a far fronte ad un’offensiva così virulenta del virus, quanto per la messa a nudo di tutte le nostre fragilità, personali e sociali. Non siamo stati in grado – come società – di costruire trincee salde per difenderci da questa seconda ondata, prevista e prevedibile, secondo quanto dicono gli esperti, rispetto alla storia delle tante pandemie che si sono susseguite in passato; ci stiamo sgretolando – come persone – non riuscendo più a dare senso a ciò che ci viene chiesto, con una conseguente insofferenza a rispettare le regole se non, in alcuni casi, con la netta volontà a trasgredirle, negando l’evidenza dei fatti.
Certo, questa è la realtà che viviamo, nella quale siamo oggi esistenzialmente immersi; questo è il tempo che siamo chiamati a vivere: è un dato di fatto.
Come sempre, però, la realtà è più complessa di come appare e, forse, ci voleva proprio il Covid-19 per farci scoprire nudi… di nuovo: “Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò.”[2]
Interessante notare come anche Platone abbia usato l’immagine della caverna per presentare la condizione umana, raffigurando gli uomini come prigionieri incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna, costretti a stare fermi sempre nella stessa posizione ed a fissare il muro davanti a sè, potendo percepire della realtà solo le ombre che un fuoco alle loro spalle proietta sul muro.[3] Il significato simbolico di questa immagine, per Platone, è ovviamente legato alla vera conoscenza della realtà che, per il filosofo, non si trova in ciò che vediamo e di cui facciamo esperienza, ma nelle idee intellegibili di cui il mondo empirico è soltanto una copia imperfetta e mutevole.
Ecco noi siamo un po’ come questi prigionieri: nati e cresciuti nell’era del progresso e dell’uomo trans-umano[4], crediamo che la nostra esistenza si manifesti e si misuri sulla base di quante possibilità di agire, fare, muoverci abbiamo a disposizione, non percependo che proprio oggi, proprio in questa condizione, possiamo sperimentare la suprema possibilità di essere esistenzialmente pienamente noi stessi.
Come?
La chiave sta nel coglierci non tanto “facenti” quanto “pensanti”; sta nella capacità di sciogliere le catene che ci imbrigliano in una visione della nostra esistenza schiacciata sull’atto, per scoprire le infinite potenzialità di cui siamo costituiti quali esseri pensanti. Ci possono rinchiudere in casa, il Covid-19 può limitare la nostra libertà di azione, ma non può impedirci di pensare, non può soffocare la nostra libertà di costruire mondi e realtà ovunque possibili! Noi siamo gli “esseri dalle infinite possibilità”; conditio sine qua non, però, è la scelta responsabile e consapevole: chi vogliamo essere? Come vogliamo vivere questa situazione? Come vogliamo essere alla fine di tutto questo? A noi la scelta: possiamo scegliere di subire passivamente il confino e percepirci davvero come corpi senza scopo, oppure possiamo scegliere di attivare il pensiero, la creatività, trovando nuovi modi e riscoprendo antichi modi per essere pienamente noi stessi. La scelta è di ciascuno e di tutti indistintamente; la fatica? Guardarsi dentro e scovare quel senso profondo dell’esistenza che giace assopito, sopraffatto dall’agire a cui siamo stati abituati.[5]
È necessario, senza dubbio, un cambiamento di paradigma: dal percepirci come esseri produttivi al ri-trovarci come esseri pensanti; dal fare le cose, al meditare sul perché le facciamo; dall’agire al senso.
“Cogito ergo sum”[6] ripeteva spesso il nostro caro Cartesio che, avendo a che fare con il metodo scientifico empirico sapeva cogliere la differenza tra la realtà pratica, che si muove sul principio induttivo di causa/effetto (dentro al quale possiamo ricondurre la condizione concreta di reclusi che stiamo vivendo oggi), e la realtà intellegibile, che dà senso all’empirico, ne determina le leggi, ne fa cogliere i limiti; l’uomo può accedere a questa realtà intellegibile grazie alla propria intelligenza (dal lt. intus-legere, leggere dentro alle cose!), cogliendosi potenzialmente ben più di un corpo costretto all’immobilità.
Questa è a mio avviso la chiave di volta, la prospettiva che ci salva e che, anzi, ci permette di sfruttare questo periodo così particolare che stiamo vivendo, per scoprirci davvero nel profondo di donazione di senso che ciascuno porta in sé stesso.
È un salto, quasi un volo pindarico per le nostre povere menti, schiacciate su un sapere pratico che ci ha fatto perdere la bussola delle infinite possibilità a cui siamo chiamati. È necessario il coraggio di affrontare questo salto: dal saper fare, che contraddistingue la nostra epoca e la percezione ed il valore che ci viene attribuito, al saper essere pienamente totalmente sè stessi. Il salto è alto, il burrone profondo, l’unica arma che abbiamo a disposizione è la conoscenza: dal saper fare al saper essere si passa solo attraverso il ponte della conoscenza, del pensiero che indaga, scopre, si confronta e legge nella complessità degli accadimenti, ritrovando il senso per sé e per il mondo di relazione che gli ruota intorno.
Questa è la via, a mio avviso, che ci permetterà di uscire dalla tragica situazione che stiamo vivendo, rinnovati nella nostra esistenza, dando piena manifestazione al nostro essere; capaci di riscoprire la nostra vera essenza, la luce che ci ha condotto fino a qui, la verità che ha albergato inascoltata in ognuno di noi, saremo pronti per un futuro ricco di senso che sapremo vivere in pienezza. Ridiamoci orizzonte, ne abbiamo un gran bisogno!
“Il coraggio del pensiero discende dall’urgente desiderio dell’essere, è allora che fiorisce il linguaggio del destino”, Heidegger insegna; ci vuole coraggio sì, un coraggio che muove dal percepirci appunto solo corpi in confino.[7]
Daniela Corvi
[1] Estratto da un’intervista rilasciata ad Huffington Post dallo Psichiatra Piero Cipriano il 7/11/2020, ecco il link: https://www.huffingtonpost.it/entry/piero-cipriano-eravamo-i-padroni-della-terra-col-covid-siamo-tornati-abitanti-impauriti-nelle caverne_it_5fa5c487c5b623bfac4f60cd?ncid=fcbklnkithpmg00000001&ref=fbph&fbclid=IwAR19t5VEMshooW5uliPuE-j4fKkeeFkEOEX7Bqr_YZ8cfcifawB459NexhQ
[2] gIOBBE, 1,21-22
[3] Platone, “La Repubblica”, 514-520 a.c.,
[4] Il significato del termine trans-umano rientra nell’accezione di “transumanesimo”, qui inteso come concezione scientifica che fa della ricerca e delle scoperte scientifiche lo strumento per portare l’uomo oltre i suoi limiti ed oltre la sua dimensione fisica grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie.
[5] S. Kierkegaad afferma che ciò che contraddistingue l’esistenza dell’uomo singolo rispetto agli altri esseri viventi è la possibilità di scegliere e la libertà di decidere. Il comportamento dei singoli animali è condizionato necessariamente dall’istinto. Invece i singoli uomini, nel corso della loro vita, si trovano sempre davanti a più possibilità di fronte alle quali sono totalmente liberi di decidere.
[6] R. Descartes, Principia philosophiae 1, 7 e 10, 1644. Cartesio afferma che il solo atto di dubitare della propria esistenza è — almeno — la prova della realtà della nostra mente; ci deve essere un’entità pensante — in questo caso noi stessi — per poter esistere il pensiero.
[7] M. Heidegger, “L’esperienza del pensare”, 1954