Nume tutelare on the road


Davvero, mio giovane amico, occorre molto coraggio etico per voler seriamente che la propria vita non consista nel differenziarsi ma nell’aderire a ciò che é semplicemente umano”[1]

Da circa due settimane, con l’arrivo dell’epidemia Covid-19 e l’entrata in vigore del decreto legge che introduce le misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza, l’Italia intera è entrata nello stato di “quarantena”. Attraverso l’emergenza sanitaria ognuno di noi sta avendo modo di riflettere sulla povera e misteriosa fine della nostra storia che ci saluta ricordandoci di riconoscere il male per quello che è, cioè un ingannatore astuto, che in ogni occasione mostra un’umanità di attori brillanti che hanno distrutto ogni concezione di vita a favore dell’arte di signoreggiare, il piacere del momento.

Il dolore diviene una lontana malinconia rilegata in un ripostiglio. La forza della parola svanisce dinanzi all’eterno potere che governa il mondo. La fede, miscredenza deposta e temuta, non supporta più nessuna ribellione. E la libertà rimane un sogno inquieto, che manca di quella continuità che si chiama Luce dell’alba. Le mille insicurezze politiche e sociali, la malattia fanno prevalere ciò che finora abbiamo mostrato di saper fare con parole e azioni. C’è dunque da meravigliarsi, se la vita s’incurva e si spezza come un’ombra che soggiace ad una moralità incerta e decadente? Realmente possediamo le provviste per il viaggio, per una coraggiosa testimonianza che si riallacci ad una “Caritas generis humani?” Ora che ci siamo fermati, ciascuno di noi nella propria esperienza farà i conti con i propri anni? Oppure, il susseguirsi del giorno alla notte sarà solo un peso che sballotteremo nel vuoto affamato, in luoghi diversi della città?.

Siamo pronti ad accettare la sfida di erigere itinerari educativi che dobbiamo accogliere e inglobare nella sola ed unica rete che ci tiene avvinti?  La nostra capacità di capire il mondo dall’interno, risveglierà sul calar della notte l’amore per la vita, unico bene duraturo, da cui l’animo ricava nel proprio intimo, la gioia perenne? La ricerca di questo nuovo umanesimo non potrebbe essere forse una predisposizione che la Provvidenza ci riserva per prendere coscienza della gravità del momento che stiamo vivendo, per creare comunità cristiane autentiche dove i muri possenti cederanno forse il posto a membra viventi che come una medicina ci invita a proseguire con coraggio?

E mentre il cammino si acuisce, concludo seguendo ancora una volta le linee della riflessione, utilizzando come rappresentazione simbolica della coerenza e fedeltà alle scelte fatte, il rifiuto di qualsiasi tipo di compromesso al prezzo dell’isolamento totale, il seguente racconto rabbinico:

Quando Rabbi Eliezer si ammalò, i suoi discepoli andarono a trovarlo. Egli disse loro: “Dio dev’essere molto in collera con me”. Tutti piangevano, ma Rabbi Aquivà rideva. “Perché ridi?”, gli chiesero. “E voi perché piangete?”, egli domandò. Essi risposero: “il rotolo della Torah” – così chiamavano il grande Rabbi Eliezer –  é qui fra i dolori e noi non dovremmo piangere? “. Rabbi Akiva replicò: ” Proprio per questo rido. Finché vedevo che il vino del maestro non diventa aceto, che il suo lino non era mai distrutto, pensavo tra me che il Signore lo protegga che egli avesse già ricevuto la sua ricompensa in questo mondo. Ma ora che lo vedo nel dolore mi rallegro, perché so che la sua ricompensa lo attende nel mondo futuro“.

A voi le riflessioni e i commenti sul fenomeno che stiamo sperimentando.

Giulia Giordano


[1] =Kirkegaard, Aut -aut Edizione Mondadori, Cit, pag. 83

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