“Conviviamo con la paura, o meglio, con le paure. Paure dalle forme e dalle origini diverse: la paura dei ladri, la paura della morte, la paura della malattia, la paura di non farcela, la paura di rimanere soli. Paure legate a qualcosa che sta succedendo qui e ora e paure legate al futuro, a quello che potrebbe succederci o che potrebbe accadere a chi ci è caro. La paura è la nostra emozione più antica”[1]
Che cosa è la paura? C’è chi ha paura del buio e delle cose che nasconde, della morte, della folla, di essere abbandonato. C’è chi ha l’incubo dei compiti di matematica. Chi è terrorizzato da ragni o topi, chi dai bulli che lo vessano a scuola. Chi ha paura non aver chiuso la porta di casa, chi ha paura di ingrassare, chi di invecchiare e chi di parlare in pubblico. C’è chi ha paura della felicità e chi ha paura della paura. Il catalogo delle paure può essere infinito, e da un paio di mesi c’è una nuova paura: la paura del coronavirus SARS-CoV-2!
Psicosi e panico oppure calma, controllo ed informazione? In questi ultimi tempi, tutto il mondo è scosso dal dilagare di un virus (Covid-19), che desta ansia e preoccupazione. Nella storia dell’umanità, in passato così come nel presente, l’avvento di epidemie come la Peste Nera e l’influenza spagnola e di infezioni virali come l’AIDS e l’Ebola, oltre a suscitare angoscia e paura, modifica in modo irreversibile, il nostro modo di percepire e vivere la realtà.
I coronavirus sono un genere di virus (scoperti negli anni sessanta) il cui nome si riferisce all’aspetto caratteristico della forma infettiva del virus visibile al microscopio elettronico, che presenta un’immagine che ricorda una corona reale o la corona solare. I coronavirus sono responsabili di patologie nei mammiferi e negli uccelli. Nell’uomo provocano infezioni respiratorie, spesso di lieve entità come il raffreddore comune, ma negli anni passati sono stati responsabili di gravi epidemie (SARS del 2002, e MERS del 2012) e ora da alcuni mesi stanno causando la polmonite di Wuhan.
Il cornavirus SARS-CoV-2 è nato fra il 20 e il 25 novembre da un coronavirus degli animali e da allora è diventato uno dei tanti virus umani che sfruttano le cellule del sistema respiratorio dell’uomo per moltiplicarsi e possono trasmettersi da persona a persona, di solito a seguito di uno stretto contatto con un paziente infetto, ad esempio in una casa, sul posto di lavoro o in una struttura sanitaria.
In Italia abbiamo iniziato a sentire parlare del questo nuovo coronavirus da inizio gennaio, quando sono arrivate le prime notizie dalla Cina in merito a una preoccupante epidemia di COVID-19. Prima sembrava solo una cosa lontana, i casi si verificavano tutti in Cina, e quindi le notizie non spaventavano, come non spaventano mai le cose che capitano lontano. Poi però piano piano abbiamo capito che si stava avvicinando fino ad arrivare ai primi casi in Italia, e questo ha fatto divampare la paura, la fobia, o l’angoscia vera e propria!
Tutti abbiamo cominciato a seguire con maggiore attenzione le notizie che arrivano da ogni mezzo di informazione. Molti desideravamo persino capire meglio il significato dello “strano nome”, come se questo aiutasse a proteggersi dall’infezione! Si parla di coronavirus SARS-CoV-2 che ha causato l’epidemia di COVID-19 – dove “CO” sta per corona, “VI” per virus, “D” per disease e “19” indica l’anno in cui si è manifestata – dichiarata dal Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.
A gennaio 2020 la medicina conosce sette ceppi di coronavirus in grado di infettare gli umani, ma non esistono invece vaccini o farmaci antivirali considerati validi dalla comunità scientifica per combattere la malattia.
Al 29 febbraio 2020 in Cina il bilancio delle vittime sale a 2.835decessi e circa 79.251 casi accertati a livello globale conseguenti all’epidemia portando il governo cinese a chiudere scuole e università. L’epidemia del coronavirus “è la più grande emergenza sanitaria nella storia della Cina”, dalla fondazione del sistema comunista nel 1949 a oggi”: è quanto ha detto il presidente Xi Jinping.
Attualmente continua ad interessare principalmente la Cina, sebbene l’infezione è estesa ormai a 65 Paesi in 4 continenti con oltre 3000 morti nel mondo e gli esperti non escludono che il numero dei casi individuati in Europa possa aumentare rapidamente nei prossimi giorni.
Fin dall’inizio, in televisione e su internet, si sono alternate notizie allarmanti e richiami alla calma. Da una parte se ne parla tanto, dall’altra sembra che il numero delle vittime non sia per fortuna alto, quantomeno non troppo diverso da normali influenze. Se ne parla però molto e questo crea agitazione. È utile e importante essere informati, ma bisogna mantenere la calma. Bisogna prestare la giusta attenzione alle notizie sul virus cercando di prevenirlo sia nella vita di tutti i giorni ad esempio lavandosi le mani, sia con quelle azioni che i medici ritengono utili perché la diffusione sia limitata, ma comunque bisogna continuare a vivere la nostra quotidianità.
In tanti si chiedono se l’allarmismo e le misure di sicurezza che si stanno prendendo in ogni Stato siano dovute a qualcosa che non ci è stato detto o se semplicemente la paura si stia trasformando in fobia o angoscia vera e propria. La paura è un meccanismo di difesa da un qualcosa di ben determinato: installiamo l’antifurto nelle nostre case per la paura dei ladri, così come non ci sporgiamo dal balcone per paura di cadere… Il coronavirus però è ancora troppo indefinito, non determinato. Ciò che sta provocando l’epidemia COVID-19 è qualcosa di simile al terrorismo: dopo l’attentato terroristico del 13 Novembre 2015 a Parigi in tutta Europa ci si sentiva in pericolo, ma con la reale impossibilità di difendersi, cadendo così in uno stato di angoscia. E come afferma Heidegger in “Essere e tempo” “I tentativi di interpretare il fenomeno dell’angoscia nella sua costituzione ontologico-esistenziale e nella sua funzione sono ancora più rari del fatto esistentivo di una angoscia autentica”. Nell’angoscia “non c’è nulla a cui agganciarsi” e quindi si perde il controllo, si assumono atteggiamenti scomposti, pratiche e pensieri sbagliati. L’angoscia si può contenere solo se si comincia ad accettare dentro di noi che la vita è precaria, la vita è incerta ma all’incertezza e alla precarietà non siamo più abituati e quasi ci dimentichiamo che nella vita c’è anche la malattia, la morte, ossia la precarietà, vale a dire l’incertezza della vita.
Ad una domanda sul dolore e sulla fine della vita ci si limita alla risposta scientifica, razionalistica. Non si vuole riconoscere che la conoscenza del reale, per rispetto della ragione deve sondare un mistero più grande della ragione stessa.
In questa situazione di incertezza e precarietà mi torna in mente un bellissimo romanzo che lessi più di vent’anni fa, ma ancor sempre molto attuale, dove l’autore,Vittorino Andreoli, immaginando una futuribile Città della morte concepita sul presupposto pseudo razionalista – e, in modo sinistro, attuale – della possibilità scientifica di separare la malattia dalla morte, dà vita a un teatro che nel mettere in scena i momenti topici del rituale della fine, svela anche quelli della sua rimozione. Il romanzo ci mette davanti alla responsabilità dell’uomo che trascinato dai falsi miti inventati da fervida fantasia, sta finendo per dimenticare la sua reale natura animale. “L’uomo muore comunque: è una condizione del suo essere… Muore perché è uomo, non perché è malato”.[2]
Patrizia Cortassa
[1] M.R. Ciceri, La paura, Il Mulino, Bologna 2001.
[2] Vittorino Andreoli, E la luna darà ancora luce, Rizzoli, Milano, 1997
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