Proseguendo con le testimonianze di filosofi nel mondo del lavoro 4.0, pubblichiamo l’intervista a Piero Celoria, quale seconda testimonianza della nostra riflessione su “i filosofi nel mondo del lavoro 4.0”.
Buona lettura,
Patrizia Cortassa
Chi sei, presentati.
Mi chiamo Piero Celoria e sono medico specialista in Chirurgia generale e in Chirurgia vascolare, presso il Centro trapianto epatico della Città della Salute e della Scienza di Torino. Vivo a Torino. Sono da ormai quarant’anni un chirurgo ospedaliero, avendo sempre dato la prevalenza all’attività assistenziale sulla della ricerca, ma ho anche lavorato in ambito universitario. Ho avuto esperienze di vario tipo: chirurgia generale, chirurgia di pronto soccorso e urgenza, chirurgia vascolare e da ultimo chirurgia dei trapianti.
Quando e perché hai sentito il “bisogno di filosofia”? Perché hai deciso, pur esercitando già una professione, di studiare filosofia? Quale valore aggiunto ha portato la filosofia nel tuo lavoro e nella tua vita?
Al di là della passione personale che ho sempre nutrito nei confronti della filosofia, gli studi classici hanno ulteriormente consolidato e rafforzato il mio grande interesse per tutto l’umanesimo, comprensivo della filosofia, dell’arte figurativa e dello studio della storia. Nel corso della mia vita ho continuato a coltivare questa mia attitudine, questo mio atteggiamento, questa mia passione per il pensiero filosofico, sicché alla fine della carriera ho sentito l’esigenza di cercare di mettere un po’ di ordine attraverso la frequenza di un corso di studi, che mi ha aiutato in tal senso. Il counseling filosofico è stato per me la realizzazione di un desiderio, non già con l’intenzione di praticarlo, bensì come rimedio alla mia angoscia. Non è mai stato un mio obiettivo quello di praticare counseling, tuttavia mi è servito moltissimo nella mia professione. Infatti, avendo lavorato per tanti anni in ambiente universitario, ho sempre avuto un contatto molto stretto con gli studenti, i giovani medici e gli specializzandi – che mi erano affidati dai direttori – con i quali ho potuto applicare la filosofia intesa nella sua dimensione originariamente (essenzialmente) pratica che illumina i problemi cruciali dei processi formativi e delle relazioni di cura.
Il counseling filosofico, quindi, come un’attività che utilizza strumenti filosofici, cioè prevalentemente razionali, rinvia a un con, ad un lavoro da affrontare insieme, attraverso il dialogo e la comunicazione, e, infine, si identifica con un fare, vale a dire una prassi finalizzata ad un reale mutamento della propria esistenza, alla ricerca della verità e del buon vivere in comunità.
In 25 anni ho seguito tantissimi giovani medici ai quali ho sempre portato questa mia esperienza personale di riconoscere la tecnica come prevalenza dell’attività medica e in particolare del chirurgo: senza tecnica non si va da nessuna parte! La tecnica è etica. Ma un contrappeso filosofico è fondamentale per ben operare. Questo è il concetto che ho cercato di portare avanti. E il counseling filosofico sicuramente mi ha aiutato a perfezionare il tipo di comunicazione sulla filosofia, che secondo la vox populi non serve a niente, ma proprio perché non è serva effettivamente di nessuno come scrisse Aristotele nella Metafisica: “La filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile”. E in quanto priva di legami di servitù, la filosofia apre le possibilità di ragionamento.
I rapporti tra filosofia e psicologia affondano le loro radici nel pensiero dei grandi filosofi della Grecia classica. Sono due campi di studio affini e complementari, eppure oggi sono tanti i sostenitori dell’opposizione filosofia versus psicologia. Qual è secondo te la differenza fondamentale tra Filosofia e Psicologia?
Credo che filosofia e psicologia trattino temi diversi. Per esempio, un tema che in medicina, e in chirurgia in particolare, è fondamentale è il tema della morte. La morte non è un tema psicologico. La morte è un tema filosofico. Chiarito ciò, andare a fare una comunicazione di morte ai parenti dell’estinto pone delle basi filosofiche per poter comunicare. Non c’è psiche che regga, non c’è storia psicologica che regga. A me è successo ben più di una volta nella mia carriera di dover andare a comunicare la morte, purtroppo… L’ultima volta che mi è successo avevo già iniziato gli studi di counseling e ho applicato quello che avevo appreso (in particolar modo il divenire di Marinoff e il famoso acrostico PEACE[1]) con queste persone che hanno dovuto subire la mia comunicazione drammatica. Quindi è utile la filosofia più della psicologia, nei temi che sono più propri. Nel corso del tempo la filosofia è stata un po’ superata nella percezione collettiva dalla psicologia, ma ora deve solo ricostruirsi il suo campo con tutte le contaminazioni possibili, però, senza opposizioni, ma con la massima apertura. E affermo ciò da medico. Sono gli psicologi stessi che traggono dalla filosofia anche il loro modo di essere e di bene operare.
Se dovessi riassumere con una citazione o un aforisma quanto più di positivo ti ha dato e ti dà la filosofia, che cosa diresti ai nostri lettori?
“Non si sa bene se il filosofo debba iniziare la propria esistenza professionale come medico e se il medico debba finire la propria carriera come filosofo. Non importa se l’una o l’altra cosa, ma certo il medico ha un’opportunità unica di vedere la umana esistenza”. (K Donovan)
Questa è una cosa che veramente noi medici dimentichiamo. Occupando il ruolo di medico e di chirurgo (e di tutte le altre professioni sanitarie, in particolare modo gli infermieri) si ha un’unica opportunità di avere un’ottica di visione sulla nascita, sulla vita, sulla morte, sulla sofferenza e sulla rinascita che non si deve perdere. In altre parole, umanizzare la medicina non è soltanto apportare correttive ai peccati della medicina moderna (mancanza di comunicazione, medicalizzazione eccessiva, economia, tecnologia, ecc.) ma è proprio riconoscere quanto si è vicini alla condizione umana e farne tesoro. Questa presa di coscienza del privilegio della visione globale dell’umana esistenza, va a beneficio non soltanto dei malati, mi permetto di dire, ma anche dei i medici che devono in qualche modo avere un loro equilibrio, che diventa poi efficace sul paziente.
Prendersi cura di chi cura!
- Lou Marinoff, “Platone è meglio del Prozac”, Piemme, 2013. Lou Marinoff nel suo libro ci porta un esempio di un procedimento (in ambito di counseling filosofico) per cercare di valutare al meglio una questione. Tale metodo, o procedimento, è definito con l’acrostico P.E.A.C.E.:
P = Problema – E = Emozioni – A = Analisi – C = Contemplazione – E = Equilibrio