Navigando sul web mi è capitato di finire su un sito di vignette umoristiche alquanto divertenti. Tra le tante la mia attenzione (chissà come mai?) è stata attirata dalle seguenti:


È un cliché abbastanza diffuso. A che cosa serve la filosofia? “La filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile” scrisse Aristotele.
A prescindere dal grande filosofo greco, a questa domanda molti risponderanno “A niente, e a nessuno; serve solo per diventare insegnante di filosofia”. Questo perché in ambito sociale, economico e politico la filosofia si mostra totalmente futile.
Ricordo che quando frequentavo l’università nei corridoi della facoltà echeggiava la seguente barzelletta:
Domanda: Cosa farai dopo la laurea in filosofia?
Risposta: La festa di laurea!
In questa frasetta ironica è ben racchiuso tutto e il contrario di tutto ciò che si dice, si pensa – a torto o a ragione – sul conto della filosofia, in campo accademico, scolastico, professionale e privato.
Il pensiero, però, può essere considerato come il movente delle attività economiche, politiche e sociali, basta soltanto riscoprire la sua necessità provando, per esempio, ad immaginare il nostro mondo senza esso. La filosofia richiede una meditazione solitaria, ma ha anche l’esigenza di comunicare, discutere e mettere alla prova le idee in uno spazio pubblico, come un tempo avveniva nell’agorà. È quindi, il pensiero che ha reso noi uomini ciò che oggi siamo.
Come afferma Antonio Cosentino in “Filosofia come pratica sociale”, nello scenario della società della tecnologia e dei sempre nuovi conformismi, la proposta di una filosofia come pratica (una “filosofia agoretica”), non è né un mitico richiamo alle origini né un troppo ottimistico progetto di rilancio della razionalità moderna. La metafora dell’agorà, la piazza, può aiutarci ad aprire un orizzonte di esperienza non mediata dai mezzi di comunicazione di massa. Si tratta di istituire oasi, terreni di gioco di pensiero riflessivo; micro-eventi di ricerca sviluppata con la propria testa e anche sulla propria testa con l’aiuto di una filosofia che, senza rinnegare se stessa, sappia mettersi al servizio della vita e proporsi come strumento di emancipazione.
Ed è proprio ciò che sta avvenendo in questo momento storico in cui tutto sembra dettato dall’avanzamento tecnologico, dai dati, dai numeri, viene a galla anche nelle aziende un grande bisogno: rimettere al centro di tutto il pensiero umano, i suoi interrogativi, le sue riflessioni più profonde.
Nuove tecnologie come l’Intelligenza Artificiale non solo ci mettono davanti a problemi etici, come l’impatto ambientale delle attività produttive, l’aumento del disequilibrio economico tra paesi ricchi e paesi poveri, ecc. ma riportano anche alla ribalta domande antiche quanto l’uomo “chi sono? dove vado? che ruolo ho nel mondo?”.
L’urgenza di un ripensamento sulla natura dell’uomo è, dunque, balzata di nuovo in primo piano. La società mediatizzata e globalizzata, dove tutti sono in condizione di conoscere tutto in qualsiasi momento, pone all’uomo nuovi interrogativi e nuove inquietudini.
Come si traduce questo in un contesto lavorativo e aziendale? L’ultima tendenza nelle aziende delle Silicon Valley, che comincia a dilagare in tutto il mondo, è reclutare laureati in filosofia come manager o per consulenze esterne. Si chiamano appunto “practical philosophers”, o CPO (Chief Philosophy Officer), e sono destinati ad avere una grande influenza nella cultura aziendale, scansando i numeri per rimettere al centro l’uomo.
In che modo, quindi, un filosofo aiuta un’impresa? Il pensiero filosofico è lo strumento che può aiutare le imprese, soprattutto quelle innovative, a coniugare le opportunità di business con i valori aziendali, implementando codici etici nell’organizzazione aziendale o lavorando agli obiettivi di responsabilità sociale d’impresa. I filosofi in azienda aiutano leader e manager a interrogarsi sul ruolo che giocano i propri prodotti e servizi rispetto al quadro globale, per capire non solo se qualcosa può o meno avere senso o funzionare sul mercato ma anche se ce ne sia o meno il bisogno.
Il filosofo si offre al mondo del lavoro come una figura versatile, capace di adattarsi a varie situazioni ed è particolarmente attrezzato per il problem solving, il processo decisionale e creativo e per la gestione di conflitti e delle risorse umane, grazie alle sue capacità di dialogo e comprensione. Per questo può lavorare in ambiti tra loro completamente diversi; nelle prossime settimane pubblicheremo alcune testimonianze a riguardo. Non perdetevele!
Patrizia Cortassa
Bellissimo articolo! Complimenti
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie!! Continua a seguirci!!
"Mi piace""Mi piace"