“Una parola muore appena è detta, dice qualcuno. Io dico che comincia appena a vivere quel giorno.”[2]
Questo articolo nasce da un’esperienza diretta del fenomeno, a cui per un “caso fortuito” ho assistito mentre ero in giro per delle incombenze da assolvere.Il tema del bullismo fisico e/o psicologico è da tempo oggetto di vari avvenimenti che si ripercuotono non solo nell’ambito scolastico, ma anche all’interno dei contesti familiari e sociali. Questo malessere collettivo, disagio morale, o noia, miete ogni giorno milioni di vittime, basta sfogliare le pagine di qualche noto quotidiano per rendersi conto di quanto questi episodi di cronaca siano entrati a far parte della nostra quotidianità. Le interazioni con gli altri sembrano aver perso il loro aspetto ludico, per lasciare spazio ad un contesto sociale, che stravolge non solo i ritmi della città nella quale si vive, ma anche l’individualità di ognuno. Definire il fenomeno e le sue innumerevoli forme, per avanzare una riflessione filosofico-esistenziale sulla condizione umana, è un’impresa ardua la cui comprensione richiede una combinazione dei criteri psicologici, antropologici e morali della percezione del presente.
Il rapporto interrotto tra “l’Homo parlante” e “l’homo agente”, manifesta elementi e segnali di disfacimento del genere umano, non solo nelle strutture educative, ma anche nella sfera familiare, lavorativa e virtuale, anch’esse strapiene di folle urlanti in lotta per l’affermazione del proprio sé. “Non penso, agisco e condivido” sembra essere divenuto il nuovo “leitmotiv” della società “progressista” che ogni giorno ci offre delle scene da far west in cui l’essere umano sembra essere divenuto un “rifiuto tecnico” da smaltire. Prende piede in modo sempre più evidente l’idea che le relazioni siano “luoghi” da consumare al di là di ogni ragionevole dubbio, per affermare il calcolato risultato di un combattimento “corpo a corpo” nei confronti di una vittima incapace di difendersi, che senza sceglierlo, subisce ripetute umiliazioni da coloro che ricoprono il ruolo di bullo. Immane diviene la tragedia, quando queste aggressioni criminali conducono alla morte, come è avvenuto in California al ragazzo di tredici anni, che frequentava la Moreno Valley Landmark Middle School. Il futuro ci sta proponendo nuove forme di relazione in cui emergono drammi non elaborati, frammenti di un’identità lasciata a metà nel tempo fosco della vita. Que rest-t’il de nos amours?[3] Forse, davvero, la sfiducia nel genere umano ci libera dalla responsabilità individuale? Qual è, se c’è, l’immagine sintomatica, del peso psicologico difficilmente compreso nel suo significato? Può l’emozione essere vista come il premio finale, per giustificare tali condotte lesive? Ognuno di noi affronta nel corso della vita un momento di crisi, legato a fasi particolari della crescita, spesso incongruente con le proprie certezze; ogni decade infatti, possiede elementi caratteristici della fase di vita che si sta vivendo. Che tipo di comunicazione linguistica stanno utilizzando le nuove generazioni, prosciugate e inspiegabilmente stanche e apatiche per trasmetterci i loro pensieri o il dolore patito, a causa delle condizioni ambientali esterne entro cui sono situati? In questo triste scenario, le nostre azioni quotidiane concrete sembrano essere sballottate de tempeste sempre più forti e frequenti, in cui le trame e le relazioni con l’altro, diventano un incubo, specchio delle insicurezze, e non uno strumento chiave, per generare un “educazione alla vita” finalizzata a garantire un aiuto alla persona, con lo scopo di ripristinare un contatto con la propria fragilità psicologica, evitando così di far divenire, in un certo senso, l’emergenza una regola patologica e problematica.
È arbitrario, pensare di promuovere una mobilitazione psicofisica della volontà, capace di migliorare la qualità del rapporto con sé stessi e, costruire nuove disponibilità allo scambio con gli altri per far fronte alle impensabili e diverse situazioni della vita?
A conclusione cosa possiamo fare oggigiorno, per evitare che le conseguenze negative di questo fenomeno elevato, che ormai semina più vittime delle epidemie, abbiano degli effetti collaterali sui cervelli dei bambini e dei ragazzi che vanno a scuola per ricevere l’istruzione necessaria per vivere in società? Quanti immaginari possibili su cui riflettere e confrontarci…
Voi cosa ne pensate?
Giulia
Giordano
[1] René Magritte, I misteri dell’orizzonte
[2] Emily Dickinson, poesie.
[3] Charles A. Claude Trenet, brano del cantautore e paroliere francese.
Ottime riflessioni perfettamente rispondenti alla realtà
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