“Quanto sarebbe più semplice la vita di tutti se unissimo le nostre solitudini imparando il gioco di squadra.” così chiude il caffè di Gramellini del 25 settembre scorso dal quale prende spunto la mia riflessione di questa settimana.
Non sto a raccontarvi la storia, ben descritta dal fondo di Gramellini, che vi invito a leggere: una volta tanto una storia positiva di chi ha saputo fare squadra e non lasciare sola una donna in difficoltà a causa di un persecutore che si era invaghito di lei.
Ciò che mi ha colpito e su cui mi piacerebbe ragionare con voi è proprio questa ultima frase: “quanto sarebbe più semplice la vita di tutti se unissimo le nostre solitudini imparando il gioco di squadra”; una frase che rischia di suonare un po’ retorica, ma che racchiude, a mio avviso 3 grandi verità esistenziali con le quali ciascuno di noi è chiamato a fare i conti nella società di oggi.
La prima: quanto sono complesse e complicate le nostre vite! Non so come percepite la vostra, ma io osservo continuamente persone che corrono da una parte all’altra, con mille impegni, tra il lavoro e la famiglia da gestire, senza avere quasi il tempo di respirare… ed io, ovviamente, sono tra quelle. Alle volte me lo chiedo, dove corriamo tutti quanti.. verso quale fine? Quale meta?
La seconda: questa vita complessa viene ulteriormente complicata dalla nostra solitudine; facciamo, corriamo, ci affatichiamo… da soli, in mezzo ad altre solitudini…
Faccio qualche esempio per spiegarmi meglio e non sembrare troppo “retorica”.
Le istituzioni pubbliche faticano a dare supporto e servizi a genitori sempre più in difficoltà nella gestione degli impegni familiari, oppure a persone alle prese con le proprie dinamiche esistenziali; le aziende, quando va bene, ti offrono un lavoro, ma al resto (spostamenti, organizzazione privata, ecc.) devi ovviamente pensare tu.. pochi sono i fortunati che possono contare sull’appoggio di nonni o di una rete familiare vicina e disponibile… alle volte si fa anche fatica a chiedere.. intimoriti dalle possibili risposte tipo “non ho tempo”, “anch’io corro da una parte all’altra come una trottola” e simili.. e mi fermo alla normale routine… senza indagare situazioni di solitudine interiore ben più profonde e difficili da gestire..
Certo non è una solitudine ricercata, voluta, piuttosto è frutto di un modello esistenziale e sociale che si è sviluppato negli ultimi 60 anni grazie ad uno stile di vita più libero, alle migrazioni, agli spostamenti più “facili” ed a una valorizzazione “dell’individuo che basta a se stesso”.
Da qui discendono altri fenomeni sociali problematici che non è ora il caso di affrontare.
Di certo, questo stile sociale frenetico, individualista che ha sfilacciato i rapporti familiari, – il primo nucleo di supporto e sostegno dell’individuo -, ci fanno oggi sentire tremendamente più soli.
Soli non solo nelle faccende da sbrigare ogni giorno, ma soli nel confronto con gli altri, meno abituati a raccontare e raccontarsi, a condividere con il proprio gruppo di appartenenza fatti, problemi, difficoltà, richieste di aiuto. Qualcuno mi potrebbe obiettare che tutto questo lo si è spostato sui social network: si condivide, si commenta, si piange e si ride ormai virtualmente..
Tutto questo è vero, ma preferisco considerare i social network uno strumento piuttosto che un surrogato della nostra esistenza; uno strumento molto utile e positivo, quanto dannoso e negativo se non viene compreso ed utilizzato da una “sensibilità umana”, non propria dell’individuo, ma della persona, ovvero di quella dimensione del nostro essere “uomo” che sa e cerca la relazione con l’altro, che si occupa e preoccupa dell’altro, sperimentando la vicinanza diretta, fisica (e non mediata) all’altro.
La terza grande verità: poter superare la solitudine imparando a fare gioco di squadra! È inutile dire che questa è la verità che mi piace più di tutte! E non solo mi piace, ma mi capita continuamente di sperimentarla..
Cosa vuol dire fare squadra? E come è possibile fare squadra? Gramellini nel suo caffè ce ne ha raccontato un modello esemplare, che sta proprio nella capacità di cogliersi dentro ad un gruppo di persone come me, che possono avere dei bisogni e delle necessità come le mie e di saper cogliere ciò che io posso fare per loro e loro per me, in una prospettiva di donazione reciproca.
Certo le squadre così non nascono dal nulla… non si trovano per caso alla fermata dell’autobus; le squadre vere sono fatte da quelle persone che hanno saputo andare oltre la propria solitudine, che si sono conosciute e confrontate e che hanno colto in questa relazione allargata opportunità di crescita personale, quello stare bene assieme che completa la nostra esistenza. Aristotele affermava, parlando dell’essere umano, che non si può comprendere appieno l’uomo se non nella sua dimensione sociale: l’uomo è un animale sociale; siamo nati per stare con gli altri, non da soli, siamo animali da branco, ed è lì nelle squadre affiatate che possiamo esprimere al meglio il nostro essere!
Bisogna però saper fare il gioco di squadra:non è facile, c’è una fatica esistenziale non da poco nell’abituarsi a pensare al bene dell’altro e non solo al nostro, nel sacrificare alcune nostre libertà per il bene comune, nel mettersi al servizio di chi intorno a noi può aver bisogno di un consiglio, una pacca sulla spalla, un piccolo aiuto concreto.. stare dentro a delle regole, ricoprire un ruolo, saper quando agire e quando stare fermo, quando parlare e tacere.. certo tutto questo non è facile, ma quando riusciamo a farlo, il risultato è oltre ogni aspettativa!
Daniela Corvi