Da oltre 40 anni si dibatte la questione educativa. I recenti fatti di cronaca ove ragazzi minorenni, o da poco maggiorenni, si sono resi protagonisti di atti lesivi verso altri coetanei, interroga pesantemente tutti. La crisi delle due principali agenzie educative, la famiglia e la scuola iniziata negli anni 70’ dello scorso secolo, evidenzia la caduta di legittimazione, credibilità e fiducia del tradizionale sistema valoriale. Il vecchio legame tra società ed educazione, basato sulla chiarezza dei riferimenti normativi e dei valori condivisi, si è indebolito e con esso la possibilità di concepire azioni educative congruenti con le istanze sociali, morali e culturali collettivamente condivise.
La messa in discussione, da parte delle giovani generazioni, del modello di società basata sulla fede nel progresso e in un futuro sempre migliore del presente, ha incrinato il punto di incontro tra l’individuo e le aspettative della società, incontro che, sino a quel momento, aveva regolato l’impostazione dell’educazione.
Nel progressivo incrinarsi del rapporto di fiducia tra individuo e società, l’educazione contemporanea si trova a dover fronteggiare uno scenario di riferimento profondamente modificato, in cui trovano posto l’incertezza e l’ambiguità, così come l’esaltazione del singolo da una parte, e l’omologazione e l’appiattimento dell’altra. La convivenza tra punti di vista contraddittori genera tensioni e conflitti che devono continuamente essere negoziati e mediati.
E’ necessario da parte degli educatori coniare nuovi sistemi educativi; veicolare semplicemente delle competenze, confidando nella capacità della società di trasmettere sia i valori che il sistema diritti/doveri, non è più sufficiente! Occorre acquisire l’abilità di formare gli individui, trasmettendo la capacità critica di interpretare la realtà, il coraggio di operare delle scelte diverse da quelle proposte dalla massa, il riconoscimento dell’altro, la ricerca di senso. Nell’articolo di Angelo Panebianco pubblicato dal Corriere della Sera il 7 agosto, facendo riferimento ad alcuni problemi che affliggono la scuola, il giornalista scrive, riferendosi agli insegnanti: “… il punto non sono le minoranze di qualità, sono le maggioranze condannate alla mediocrità da un andazzo che ha portato molti operatori del settore a smarrire il senso della loro professione… se la qualità dell’insegnamento non interessa ai più (nemmeno a tanti genitori), se l’insegnante di valore riceve lo stipendio dell’inetto, se una promozione non si nega quasi a nessuno, il risultato è la fabbrica dei voti finti”.
Sarebbe utile creare uno spazio comune condiviso, ove apprendere l’arte di apprendere e trasmettere, attraverso una comunicazione che, prendendo le distanze dalla classica esibizione di sé, veicoli un sistema di significati per il riconoscimento identitario e la capacità di muoversi attraverso le incongruenze della nostra società; cosa ne pensate?
Daniela Argentati