La trasversale fragilità della vita quotidiana.

“La fragilità è un modo di essere emozionale ed esistenziale che vive del cammino misterioso che porta verso l’interno, verso l’interiorità, e che non si riconosce se non andando al di là dei comportamenti, e scendendo negli abissi della nostra e dell’altrui interiorità”.[1]

A seguito di una rigorosa e attenta lettura delle varie testate giornalistiche, dei principali quotidiani italiani vorrei svolgere delle riflessioni sulle passioni che stanno contrassegnando nella vita di ogni giorno, modelli di comportamento mascherati che esprimono sentimenti di tedio, rabbia, non gestiti adeguatamente. In quest’ottovolante emotivo, il dilagante fenomeno della violenza gratuita, sembra essere penetrato nelle membra dell’intera umanità, il recente caso di cronaca, del pensionato bullizzato, torturato, rapinato e morto a Manduria, lascia emergere un clima esacerbato e un periodo storico disorientato, in cui il potere e l’apparenza sono diventati l’unica unità di giudizio attraverso la quale, gli uomini contemporanei interagiscono tra loro. Nel deserto della società attuale in cui l’imperativo etico, sembra essere la voglia di potere che pervade ogni struttura: dalla politica, alla vita quotidiana l’uomo, imprigionato nei canoni della bellezza effimera, della violenza gratuita, del denaro e della vanità sembra aver perso le proprie radici. L’uomo fragile sembra essere diventato un burattino nelle mani di qualcun altro nonostante cerchi di rivolgersi all’altro, per mostrargli il suo malessere esistenziale nell’altro trova non più l’uomo umanista capace di comprendere la sua sensibilità e i suoi bisogni spirituali, ma un carnefice assetato di vanagloria che rapidamente tenta di assoggettarlo ai suoi voleri, utilizzando la folle logica della paura attraverso la quale crede di guadagnarsi il rispetto. L’uomo fragile, diviene così uno scarto vergognoso da far annegare nelle sue avvilenti frustrazioni, scaturite da una società di superficie, non educata a riconoscere la ricchezza del singolo individuo in noi e negli altri da noi. La comprensione dell’insieme viene risucchiata nel vortice della non presenza,e con essa annega quell’umanesimo, volto a comprendere la fragile ricchezza umana, che se accolta e riconosciuta può divenire spunto di promozione per una condizione di serenità continua in cui coinvolgere anche gli altri, per aiutarli a non celare i propri vuoti interiori. L’uomo della non legge morale, assorbe così l’identità della persona labile che diviene un ostacolo da combattere, a causa delle sue cognizioni poco idonee alla sopravvivenza, nella realtà dell’apparenza. Il fascino del pregiudizio domina indiscusso, autorizzando gli altri, e la società stessa, a divenire a priori, giudici della vita dell’altro che non risuonando con quella del contesto in cui è inserito, diviene volendo ricordare l’atto quinto del Macbeth di Shakespeare una: “Piccola candela, da spegnere, un’ombra vagabonda, la cui voce racconta di un povero attore, che tra strida e scoppi di furore, si dimena su una scena priva di senso, per essere un niente. La visione post-moderna, mostra quotidianamente un umanità aggressiva nei confronti del sé, dell’altro e della natura stessa, dove anche l’idea del divino e dei valori cristiani: come la dignità della vita umana di ciascuno vengono continuamente calpestati nella convinzione che tale processo di disumanizzazione, possa alleggerire l’animo umano. È dunque tempo di discutere delle implicazioni sociali, etiche, e filosofiche di questa nuova realtà? Oppure dovremmo iniziare a ricercare nelle infinite forme della fragilità umana, l’intensità e la pregnanza tematica, di immagini non sempre decifrabili del vivere e del morire che si intrecciano l’uno all’altro, nelle diverse forme di dolore e/o di malattia che solcano la dimensione non solo umana ma anche cristiana della persona? Basta passeggiare per le strade, per accorgersi che l’uomo viene continuamente messo in vetrina a prezzi sempre più alti da un tessuto sociale che avendo fiutato l’opportunità del business, rimette in circolo una composizione umana che da tempo si rivela ideale per l’impasto di una produzione asettica e omologata. L’angoscia dell’uomo fragile, cammina sui sentieri tappezzati di pietre tombali, la sua estraneità dal mondo causata da un idiosincrasia per la scena universale, ci consegna la sua stremata esperienza umana, divorata da coloro che non vengono scalfiti dall’apprensione, per una simile decadenza sociale. In una realtà siffatta, la fragilità continuamente oppressa dal pesante chiacchiericcio degli uomini, diviene indegna, vergognosa. Ma come recuperare il senso della fragilità, quando siamo circondati da uomini che sembrano non essere più capaci di entrare in relazione? A chi l’uomo contemporaneo può realmente affidare le sue ombre e le sue angosce? Queste umane esperienze, sferzanti e crudeli sono un ingombro al cammino che cerchiamo invano di arginare? Oppure è il linguaggio misterioso di una calda umanità che nessuno più riconosce che vede infrangere le proprie speranze, in un avvilente modernità che cela il proprio vuoto interiore?

A voi le riflessioni e i commenti.

Giulia Giordano.


[1] Eugenio Borgna, Le passioni fragili. ue

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