Anticonformismo social, prescrizioni comportamentali.

il
Pablo Picasso: Jeux de Pages,Vallarius, 24febbraio 1951

“Le parole e la loro sintassi, il loro significato, la loro forma, sia interna, non sono indici indifferenti della realtà: bensì possiedono un peso e un valore propri”[1]

L’abuso del futile chiacchiericcio gonfia di rappresentazioni le piattaforme social dello spazio telematico, creando macchine senza coscienza che proiettano all’interno dei luoghi comuni, della rete i desideri e le frustrazioni dei fruitori.

La “retorica dei muri”[2] mostra, un campo di uomini sull’orlo della crisi di nervi: lavoratori, investitori e ministri, appaiono appesi alle “timeline”[3] delle piattaforme social, alimentando così gli appetiti di una speculazione comunicativa su cui aleggia il surreale sbraco generale, della fragilità sociale. Le cartografie che demarcano “l’io”, il “noi”, e il “loro” si intrecciano con gli aberranti slogan dei dilemmi, che non obbligano gli uomini a pensare alla condizione umana e alla sua espressione, ma tendono a fare spazio a rapporti con gli altri anodini e profondamente insipidi.

Il linguaggio diviene del tutto irrilevante, sconfinando in una narrazione fallace secondo cui gran parte degli squilibri odierni, sono frutto di una casualità irrigidita, le notizie dai risvolti politici, calcistici o più semplicemente “gossipari” navigano sulle onde del web, per entrare in rete e, per chi non si accontenta della nuda cronaca, c’è anche la diretta video, che mostra al mondo i segretissimi appunti di preparazione delle prime parole, scatenando l’entusiasmo delle folle.

La marea mediatica mostra un guazzabuglio di uomini che trascorrono ore ad aspettare che il precario equilibrio della notizia che si costruisce sotto i loro occhi, venga spezzato da uno “scacco drammatico” di un pubblico che esige emozioni e sorprese. L’ipocrisia predicatoria mostra un nuovo modo di essere cittadini, dove la memoria dell’identità del passato come esperienza perde il suo effetto benefico.

A titolo di esempio, sono emblematici i casi degli attuali esponenti politici che insaporiscono quotidianamente i loro post[4] sui diversi social, con parole associate ad emozioni come la rabbia, il disgusto, la tristezza e la sorpresa. Gli stati d’animo “formattati” si srotolano sulle piattaforme, deliberando discussioni a volte poco ragionate, indebolendo la volontà e aumentando la paura collettiva dei cittadini, che si muovono a tentoni, in una realtà ogni giorno più opaca e più ostile.

C’è una logica in questo groviglio di contraddizioni? Gli strilloni della “tecnopoli” sono davvero così interessanti da creare coesione nella comunità? I governi del know-how[5], in competizione tra loro non vi sembrano vittime di una propaganda che cede alla tentazione dello sfogo personale? Ed ancora questi comportamenti da una tempra emotiva, simile ad una bomba atomica, mostrano le differenze e le sfumature tra concetti e azione, oppure cercano solo di vidimare, nelle coscienze collettive, la mediocrità del pensiero scarsamente argomentato?

Invece di creare bisogni fittizi, che non aiutano a dare risposte alle mancanze della società, non sarebbe meglio cercare di essere più attenti a come le nuove tecnologie si stanno facendo strada nelle nostre vite, per favorire una valida comunicazione pedagogica in grado di individuare un corretto utilizzo degli strumenti tecnici e liberarci dall’autismo postmoderno in cui i bit sembrano volerci imprigionare?

In attesa dei vostri commenti lascio all’espressione manzoniana de: “Fu vera gloria?” l’input[6] per valutare insieme una situazione così ambigua e controversa.

Giulia Giordano


[1] Roman Jakobson: studioso della letteratura slava è considerato uno dei maggiori linguisti del XX secolo.

[2] In questa accezione il termine retorica vuole significare una produzione linguistica della struttura, della forma del discorso

[3] Parola inglese corrispondente in italiano alla linea del tempo con cui vengono rappresentate graficamente sulle piattaforme social le sequenze cronologiche di eventi.

[4] È un messaggio testuale, con funzione di opinione, commento o intervento, inviato in uno spazio comune sul Web per essere pubblicato.

[5] Locuzione che deriva dalla lingua inglese, letteralmente “sapere come” o “competenza”

[6] Termine che nelle discipline non tecniche, viene inteso nel senso più generale di “insieme di elementi in entrata” in un sistema per realizzare o produrre qualcosa

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