La speranza degli afflitti.

 “Sento il dolore, ma non conosco la forma del dolore; non conosco i limiti della tristezza dell’animo. La conoscenza è indefinita e, in quanto indefinita, è degna dell’uomo: l’idea del dolore è vivida e luminosa, come niente lo è di più”[1]

Proferire parole sugli avvenimenti che hanno colpito Genova, con la caduta del ponte Morandi, non è affatto una cosa semplice, la vicenda di questo ponte spezzato, ha ferito non solo l’intera umanità ma ha frantumato identità, che hanno lasciato dietro di sé, il muto dolore di coloro che hanno perduto in modo brutale i loro cari. I duecento metri di vuoto e le squallide rappresentazioni di parte sono ancora per molti, una sciabolata per l’animo umano, che profetizza un capitalismo che viaggia verso un altrove, che ha smarrito il senso di destinazione del viaggio. L’indignazione digitale ha mantenuto desta l’attenzione, per via della comunicazione fluida e volatile, mostrando un identificazione sociale con la quale ogni utente ha cercato di attivare l’interesse sul concetto di cura per la società nel suo complesso, favorendo una comunicazione simmetrica con cui gli utenti, hanno provato a scavalcare il frastuono comunicativo dei tradizionali media per far tacere un potere che comincia a disgregarsi. Le schiumose ondate digitali, hanno travolto l’auratico dominio, mostrandoci una classe rappresentativa lontana, non solo dal rispetto reciproco, ma anche da una società civile capace di pensare criticamente al presente, per un futuro da realizzare. Il giro digitale compiuto da ogni singolo utilizzatore di piattaforme social, ha generato una sfera acustica con cui sono stati abbattuti i privilegiati “opinion makers”[2] i tradizionali media comunicativi non hanno fatto altro che imbrigliare le responsabilità politiche per cercare di azzerare il frastuono prodotto dalla rete che ha rivelato, non solo a coloro che sono rimasti feriti negli affetti, nei beni di questo crollo, ma a tutti, le trame visibili di una Nazione che ha interrotto con scelte economiche e politiche i ponti all’interno e all’esterno di sé. La voce che è venuta fuori dagli schermi non si è accontentata dell’ovvio, ma ha esposto l’altare della solidarietà, generando una voragine di stati emozionali che hanno attraversato ciascuno di noi sull’accaduto. Il dolore, l’indignazione, e la fede, incarnata nella vita quotidiana delle persone, hanno prodotto azioni con cui si è cercato di approssimarsi all’altro nonostante le distanze, per fare memoria di una realtà storica, che intrappolando le coscienze, in squallide speculazioni di parte coinvolte nella costruzione e produzione di una Babele, sembrano accettare l’inferno, diventandone parte. La rete invece, indossando gli abiti della “città invisibile” ha esercitato una rilevante influenza, iniziando a militare nello spazio, non limitandosi solo alla testimonianza individuale ma, estendendo i suoi confini ad esercizi di attivismo critico, di guerriglia intellettuale, offrendo riflessioni intransigenti sulle strutture della politica, sulle ingiustizie e l’oscurità della nostra civiltà, di cui ha mostrato il volto più perturbante con uno sguardo lucido: le alienazioni, il predominio delle multinazionali, il controllo delle idee. In questo scenario Nazionale, segnato dalle disuguaglianze cos’ è che spinge secondo voi a creare opere antisismiche, che in realtà non lo sono? E ancora quale senso identitario ci stanno svelando le contraddizioni della nostra epoca?  Non vi sembra di ruotare intorno ad una sinfonia dissonante fatta di registrazioni sonore alterare che documentano un processo di addestramento con cui la comunicazione odierna sembra volerci radunare per “imparare”? E infine la precarietà del controllo e della sorveglianza non ci mostrano forse un’economia opaca con cui la democrazia del nostro Paese è stata fagocitata da chi aveva i soldi per acquistarla? Muovendo da queste domande simili alla “duty free art”[3] mi congedo ricordando in preghiera tutti coloro che hanno sofferto e soffrono ancora per questa catastrofe e lasciando a voi i commenti.

Giulia Giordano

 

Immagine di copertina: Giambattista Vico, De antiquissima italorum sapientia, in ID., La Scienza nuova e altri scritti, a cura di N. Abbagnano UTET, Torino, 1976, pp. 219

[1] Locuzione inglese usta in italiano nel linguaggio giornalistico per indicare la funzione che ricopre una persona capace di influenzare e guidare in modo determinante l’opinione pubblica

[2] Termine con cui abitualmente viene indicata un’opera d’arte libera da vincoli e da sudditanze

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