Ormai da tempo si parla di “filosofia applicata”, della necessità di uscire dagli ambienti accademici per tentare approcci alla vita quotidiana. La domanda che mi pongo e vi pongo è la seguente: chi progetta, analizza ed incide sulla vita quotidiana della società? Sicuramente le Università hanno il compito di formare i professionisti e le classi dirigenti del domani in ambito politico, nel welfare, nelle imprese, nella scuola e in generale in tutti i centri di potere. Quante di queste professionalità, che molto spesso saranno deputate a dirigere persone, hanno o avranno accesso alla filosofia nel loro percorso di studi? Ed ancora: quanti oltre allo studio fondamentale della storia della Filosofia avranno accesso ad una riflessione sulla pratica filosofica?
La cultura fondata su competenze prevalentemente specialistiche difficilmente si sposa con la capacità di comprendere e gestire la complessità. Sempre più spesso si sente parlare della necessità di formare figure professionali capaci di affrontare il cambiamento, di sostenere la complessità di uno scenario economico sempre più frammentato e competitivo. In molte realtà non si distinguono più gli uomini dai processi loro affidati.
In qualsiasi contesto venga inserita, la filosofia si interroga e spinge ad interrogarsi. Consente di rapportarsi alla realtà e di dotare di senso l’agire professionale. Chi ha compiuto un percorso filosofico ed è riuscito ad elaborare degli strumenti da applicare alla realtà lavorativa, è in grado di coniugare la propria attività con la vision aziendale. È capace di adottare un atteggiamento flessibile, comunicativo che gli consente di “decostruire” sino a giungere al cuore della questione, e se è il caso, di modificarla.
La filosofia non è uno strumento che agisce sul miglioramento dei processi, semmai questo può costituirne il risultato, essa agisce a monte, il suo fine è la ricerca di senso. Invita ad agire sulle complessità e sulle incertezze attraverso l’osservazione e la riflessione. Come un rammendo allinea costantemente gli strappi della quotidianità alla visione che sta a monte.
Nelle aziende pubbliche e private spesso ci si affida a forme di consulenza tecnica, basate sulle competenze in materie scientifiche e/o comportamentali che affrontano tematiche specifiche e legate a situazioni concrete. L’approccio filosofico ha un respiro più ampio e duraturo nel tempo, in quanto fornisce l’habitus ad un approccio analitico, alla capacità di giungere velocemente “al come” attraverso l’astrazione.
L’approccio filosofico ed in particolare quello della filosofia applicata, dovrebbe quindi entrare a pieno titolo in tutte quelle Università scientifiche ed umanistiche, che hanno il proposito di formare specialisti che a loro volta dovranno presiedere, dirigere e formare i molteplici settori ed ambiti sociali.
Certamente le aziende possono assumere dei professionisti della filosofia applicata per portare questa cultura e/o fare formazione, ma l’optimum sarebbe avere già dei professionisti formati, che una volta assunti, sappiano amministrare la propria attività con un approccio filosofico già acquisito contaminandolo aziendalmente. Questo costituirebbe un reale rinnovamento delle aziende anche da un punto di vista etico.
Scrive Hannah Arendt: “La richiesta universale di felicità e l’infelicità largamente vissuta nella nostra società (le due facce della stessa medaglia) sono i segni più convincenti che viviamo in una società dominata dal lavoro, ma che non ha abbastanza lavoro per esserne appagata”.
Voi cosa ne pensate?
Daniela Argentati