Due parole sullo scandalo “Cambridge Analytica”

Ci è sembrato opportuno, visto lo spirito di ricerca e di osservazione della realtà che anima il nostro lavoro, aggiungere ora qualche riflessione sulla vicenda dei “dati rubati” che in questi giorni ha travolto Facebook, il social network più utilizzato e famoso.

Non stiamo qui a ripercorrere la vicenda, per il cui approfondimento rimandiamo ad un articolo ben fatto de “IlPost online”.[1]

Ciò che ci interessa argomentare riguarda le categorie esistenziali che il caso muove ad interrogazione.

Primo interrogativo: scandalo o non scandalo?

Verrebbe da dire, – se non fosse per la gravità della faccenda -, che sembra quasi che una mattina il mondo “fisico”, quello reale di chi ancora si stringe la mano e si parla “vis a vis”, si sia svegliato ed abbia scoperto… l’acqua calda!

Ma la faccenda è seria e scherzarci sopra può essere pericoloso!

Se infatti non è un segreto per nessuno che i social network utilizzino i dati dei propri utenti e dei loro “giretti” sul web, – come in parte abbiamo anche raccontato in questa ricerca -, carpendone interessi ed esigenze, bisogni e sentimenti allo scopo di fare business, in questo caso si è andati ben oltre: qui in gioco c’è molto più di un’offerta commerciale, c’è la democrazia!

Analizziamo la realtà, così come essa ci appare.

Facebook, come del resto tutti i social network, possiedono, conoscono e guadagnano sui dati sensibili dei loro utenti e lo fanno nel rispetto totale della legge. Infatti, nel regolamento che descrive i termini d’uso e le condizioni del servizio di ciascuna piattaforma, – che ogni utente deve accettare per potersi iscrivere al social di turno -, sono dettagliatamente specificate le tipologie di dati che verranno utilizzati e gli scopi di utilizzo. Dunque, chi è iscritto ad un social network sa che tutto ciò che pubblica e su cui sviluppa azioni (like, commenti, condivisioni, ricerche, menzioni, ecc.) viene registrato ed utilizzato, nel rispetto della privacy, per proporre informazioni commerciali e non solo, al fine di rendere sempre più performante l’esperienza di navigazione dell’utente, a totale beneficio dell’utente, con l’obiettivo di migliorare il servizio a lui offerto.

E qui emerge il secondo interrogativo: tutto questo viene fatto a misura di utente? Per aumentare la bontà del servizio offerto? Nessuna intenzione fraudolenta, dunque, nel comportamento delle piattaforme social?

Ma la realtà è proprio così come ci appare?

Lo scandalo di Cambridge Analyitca ci conferma che no, le cose non stanno così; c’è molto altro che sta venendo a galla e che svela una problematica nascosta, ma da sempre conosciuta, anche se oggi non se ne parla al grande pubblico: il potere dei dati.

Sapere è potere: conoscere permette di agire; se so cosa ti piace ti posso conquistare, se so cosa ti fa paura ti posso tenere in scacco… pensate a questa grande verità nelle mani dei proprietari di applicazioni di raccolta dati: da Google a Facebook passando per le tante app che utilizziamo tutti i giorni e che ci rendono la vita più facile!

Tutti gratuiti, in apparenza, perché ciò che vendiamo loro sono i nostri comportamenti, le nostre preferenze, la nostra vita. E loro sono autorizzati ad usare queste informazioni: l’autorizzazione gliela diamo noi! Certo non sono autorizzarti a manipolarci con le informazioni che raccolgono su di noi..

Ma il punto sta proprio qui: quale differenza passa tra un uso corretto ed un uso scorretto dei dati?

Come definire e perimetrare la correttezza d’uso dei dati? Come controllarla?

Risulta evidente quali sono le categorie esistenziali chiamate in causa: libertà, rispetto, dignità; l’etica della persona e dell’uso che faccio di ciò che so di quella singola persona come di miliardi di altre persone.

Siamo persone dentro ai social media? Chi raccoglie ed utilizza i nostri dati ci considera persone o parametri, variabili da inserire negli algoritmi di analisi?

Cambia molto la prospettiva sulla base della risposta che si da a questi interrogativi.

Il 25 maggio 2018 entrerà in vigore il nuovo Regolamento Generale sulla protezione dei dati dell’Unione Europea (GDPR) che ha l’intento di aumentare la protezione dell’utilizzo dei dati: sicuramente utile, necessaria, ma risulterà anche sufficiente rispetto alle questioni esistenziali qui menzionate? Una legge può tutelare e garantire la corretta fruizione dei dati da parte degli utenti nonché il corretto uso degli stessi da parte dei social media?

Una legge universale può prevedere e garantire ogni situazione particolare che si possa verificare nella realtà del quotidiano?

Non siamo chiamati noi, qui, oggi, a dare risposte a interrogativi tanto complessi; di certo però potremmo imparare, – e spero di cuore che questa riflessione possa contribuire a ciò -, ad essere più consapevoli di ciò che facciamo e di ciò che ci viene presentato sotto le più diverse forme sul web, come del resto dovremmo esserlo in tutte le nostre attività umane fisiche e non solo virtuali.

I rischi, come la vicenda Cambridge Analytica ha svelato sono molti e sono alti!

Se l’informazione è potere, infatti, chi detiene le informazioni sensibili, i big data di miliardi di persone, possiede un potere smisurato e, se un giorno decidesse di utilizzare questo potere per falsificare le informazioni o falsare l’esperienza di navigazione degli utenti, facendo credere ed orientando pensieri e, di conseguenza, azioni in favore di un candidato politico, beh allora siamo di fronte ad un reale rischio di perdita di libertà, di confusione tra il vero ed il falso, di manipolazione del reale.

Riprendendo un concetto caro ai filosofi, bisognerebbe ripensare la libertà, non solo come libertà di, ma soprattutto come libertà da, imparando a prendere in mano la nostra identità social ed aumentando la nostra consapevolezza su ciò che della nostra identità siamo in grado di gestire in rete e fuori da essa! [2]

I social network sono degli strumenti e come tali vanno utilizzati: è la nostra capacità di fare discernimento, di saper leggere e valutare l’attendibilità delle fonti, di chiederci il “perché” delle cose che ci troviamo a vivere, che ci rende liberi, di fronte a qualsiasi informazione ci venga proposta, liberi, non solo di agire, ma soprattutto di comprendere, come spettatori attivi, il reale, sempre mossi dalla ricerca della Verità.

[1] Vd. https://www.ilpost.it/2018/03/19/facebook-cambridge-analytica/

[2] Si veda a proposito, G. Traversa, “L’identità in sé distinta. Agere sequitur esse”, Editori Riuniti, Roma 2012

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