“La maggior parte di quanto sappiamo e crediamo ci è stata insegnata da altri per mezzo di una lingua che altri hanno creato. Senza la lingua la nostra capacità di pensare sarebbe assai meschina e paragonabile a quella di altri animali superiori”.[1]
Continuamente nell’evanescente mondo virtuale, le parole utilizzate con le immagini, trascendono la quotidianità inducendoci a delle riflessioni su il “che cosa” sia la comunicazione e l’azione del comunicare in quanto tale. La dimensione iconica della comunicazione diventa un territorio completamente ricoperto da forme variabili, piene di sorprese e di qualche insidia, in cui siamo chiamati a diradare le ombre, che collegano il presente con il passato appena trascorso. Nuovi tipi di linguaggi, nuovi giochi linguistici, sgorgano nella dimensione dell’intendere, per dare vita ad un rapporto di efficacia produttiva tra le tecnologie della comunicazione, la sfera del pensiero e della cognizione. La comunità di parlanti che ci ha preceduto e abita il virtuale, ha sviluppato le loro forme di esperienza e attività, attraverso una comunicazione creativa e operativa non verbale, con cui ha tentato di inventare e/o scoprire la forma simbolico-culturale di uno specifico codice comunicativo. Non a caso osserva Habermas, un parlante può indirizzarsi ad un ascoltatore solo del linguaggio a condizione che sullo sfondo di potenziali presenti egli possa imparare a vedersi e a comprendersi nella prospettiva di colui che gli sta di fronte, allo stesso modo in cui lo fa il destinatario del quale assume la prospettiva. Ciò che Habermas mi sembra voglia dire è che un “parlante” è, contemporaneamente soggetto e oggetto di se stesso e, in quanto oggetto, istanza reificata[2] di un sistema, che cerca forse, di non configurare i rapporti sociali a rapporti tra le cose. La virtualità, attiva dunque, processi di formazione della soggettività o è soltanto una comunità priva di soggetti che non vive di reciprocità? Esiste una differenza nel rapporto tra comunicazione e invenzione, e tra mezzo e forma del comunicare? Da quale prospettiva osserviamo la realtà comunicativa virtuale entrare nel cosmo culturale di un epoca? In periodi, in cui non esistevano i telefoni, i computer e i social network, lo strumento precursore della comunicazione social, con cui l’uomo ha cercato di esprimere non solo se stesso, ma anche la realtà che lo circondava, è stata la pittura, che utilizzando il linguaggio delle forme visive, ha permesso di comunicare con gli atri attraverso le rappresentazioni, divenute poi un linguaggio con cui l’uomo osservava il fluire delle azioni e contemplava la vita spirituale. “È il potere di guarigione e l’agente più spirituale di cui abbia bisogno la comunità umana” affermava Maritain. Due mondi comunicativi a confronto che prendono forma attraverso la visibilità dell’oggetto, che legano passato, presente e futuro attraverso un codice di comunicazione immateriale, sperimentabile su diversi livelli che riportano al simbolo, come espressione di un dialogo tra interiorità e realtà, con cui comunicare agli altri, il tempo dell’ascolto infinito, insito in tutti gli uomini, ma che non tutti conoscono, a causa dell’ambiguità che rende il comunicare una mossa competitiva specifica. Ed è qui forse, che entrando in gioco la filosofia nella relazione comunicativa, nasce un’altra dimensione del sapere che è contemporanea a quella del comunicare dove è necessario lo sguardo di un terzo, che, superando l’ambiguità tra linguaggio e soggettività della comprensione vissuta, approfondisce il movimento delle diverse forme di testualità, collocandosi su un territorio neutrale, direzionando il movimento della comunicazione verso l’intesa, senza la quale, il rapporto comunicativo non potrebbe essere istituito e messo in opera. Allo stesso modo con cui veniamo rapiti da una pennellata, dovremmo forse fermarci ad osservare la distinzione presente negli elementi comunicativi che governano la curvatura del linguaggio?
Esiste un confine tra mondo social e mondo pittorico, tra linguaggio e realtà? Oppure entrambi i mondi portano con sé l’inevitabile paradosso della comunicazione? Entrambe le tele, quella virtuale dei social network che quella pittorica di un opera, sono forme dell’attività dell’essere umano che approfondiscono un po’ il contesto storico e culturale del nostro tempo inducendoci a soffermarci sui dettagli che consentono di conoscere, operare e convivere con il concreto. Un’intelaiatura astratta della realtà, che rivela l’esistenza di una lingua particolare spesso accompagnata anche dal suo opposto, che mette in evidenza, le potenzialità infinite che caratterizzano la riflessione filosofica. Del resto come ci ricorda Odissea Elitis: “Sulle rocce l’uccello tip-tip spostava la verità beccando avidamente l’acqua salata plaf plaf dentro le cavità. Qualcosa qualcosa. Qualcosa deve senz’altro esistere”[3]
Giulia Giordano
[1] Albert Einstein da: Come io vedo il mondo.
[2] La reificazione in informatica è un processo tramite cui un concetto astratto viene trasformato in un modello dei dati tramite un linguaggio di programmazione.
[3] O. Elitis, Tre volte la verità, I, tr. it. di P.M. Minucci, in “Micromega”, 3/96, p. 171